Rudyard Kipling - Il libro della giungla,
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Rudyard Kipling.
IL LIBRO DELLA JUNGLA.
INDICE:
I fratelli di Mogli.
La caccia di Kaa.
La tigre! La tigre!.
La foca bianca.
Rikki-Tikki-Tavi.
Toomai degli elefanti.
Al servizio della Regina.
Canzone di parata di tutti gli animali del campo.
I FRATELLI DI MOWGLI.
"E' l'ora in cui Rann il Nibbio riporta la notte, che Mang il
Pipistrello ha liberato. Le mandrie son chiuse nelle stalle e nelle
capanne, perché noi liberi vaghiamo fino all'alba. Questa è l'ora
dell'orgoglio e della forza, zampa, zanna e artiglio. Oh! ascoltate il
richiamo! Buona caccia a tutti quelli che rispettano la Legge della
Jungla."
Canto notturno nella Jungla.
Erano le sette di sera, di una serata molto calda fra le colline di
Seeonee, quando Papà Lupo si svegliò dal suo riposo diurno. Si grattò,
sbadigliò e stirò le zampe una dopo l'altra per scuoterne
dall'estremità il torpore del sonno. Mamma Lupa se ne stava
accucciata, con il grosso muso in terra, in mezzo ai suoi quattro
cuccioli che si rotolavano mugolando, e la luna splendeva dentro la
bocca della tana che era la loro casa.
- Augrh - gridò Babbo Lupo - è ora di rimettersi in caccia.
Stava già per slanciarsi giù dalla collina, quando una piccola ombra
dalla coda fioccosa attraversò la soglia e mugolò:
- La fortuna sia con te, o capo dei lupi, e buona fortuna e forti
denti bianchi ai tuoi nobili figli, e che essi non dimentichino mai
gli affamati di questo mondo.
Era lo sciacallo, Tabaqui, il Leccapiatti. I lupi dell'India
disprezzano Tabaqui, perché è sempre in giro a far malanni e a
raccontar bugie, e mangia i rifiuti e i pezzi di pelle che trova nei
mucchi di immondizie vicino ai villaggi. Però lo temono anche perché
Tabaqui, più di ogni altro nella Jungla, va soggetto alla rabbia, e
allora dimentica che ha sempre avuto paura di tutti e si dà a correre
per la foresta e morde tutto quello che trova sulla sua strada.
Perfino la tigre scappa e si nasconde, quando il piccolo Tabaqui
arrabbia, poiché la rabbia è il peggior malanno che possa capitare a
un animale selvatico. Noi la chiamiamo idrofobia, ma essi la chiamano
"dewanee" (la pazzia) e scappano
- Entra, dunque, e guarda - disse Papà Lupo burbero, - ma non c'è
niente da mangiare qui.
- Per un lupo no, - rispose Tabaqui, - ma per un miserabile come me un
osso spolpato è un lauto banchetto. Chi siamo noi, i "Gidur-log" (il
popolo degli sciacalli), per fare gli schizzinosi?
Sgattaiolò in fondo alla tana, dove trovò un osso di daino non
completamente spolpato, e si accoccolò tutto contento a rosicchiarne
le estremità.
- Tante grazie per questo buon boccone - disse leccandosi la labbra. -
Come sono belli i tuoi nobili figli! Che occhioni che hanno! E sono
ancora così giovani! Veramente dovrei ricordarmi che i figli di re
nascono principi.
Ora Tabaqui sapeva benissimo, come tutti del resto, che niente porta
tanto malaugurio come i complimenti fatti davanti ai bambini, e fu
grandemente soddisfatto nel vedere che Mamma e Papà Lupo parvero assai
seccati.
Tabaqui se ne rimase tranquillamente accoccolato a godersi il
misfatto, poi aggiunse malignamente:
- Shere Khan, il Grosso, ha cambiato territorio di caccia. Quando farà
la luna nuova, verrà a cacciare fra queste colline; così mi ha detto.
Shere Khan era la tigre che viveva vicino al fiume Waingunga, venti
miglia distante.
- Non ne ha nessun diritto - cominciò Papà Lupo rabbiosamente. Secondo
la Legge della Jungla non ha nessun diritto di cambiare quartiere
senza il dovuto preavviso. Spaventerà tutti i capi di bestiame nel
raggio di dieci miglia, e io, io avrò da ammazzare per due in questi
giorni.
- Sua madre non l'ha chiamato Lundri (lo Zoppo) per niente, disse
Mamma Lupa tranquillamente. - E' zoppo da un piede fin dalla nascita,
ecco perché ha ammazzato solo buoi. Ora i contadini della Waingunga ce
l'hanno con lui, e lui è venuto qui a far arrabbiare anche quelli
delle nostre parti. Batteranno la jungla per dargli la caccia quando è
già lontano, e noi ed i nostri piccoli saremo costretti a fuggire,
quando avranno dato fuoco alle erbe. Dobbiamo essere proprio grati a
Shere Khan.
- Devo andare a riferirglielo? - disse Tabaqui.
- Fuori! - ringhiò Papà Lupo fra i denti.- Vattene a cacciare col tuo
padrone. Hai già fatto abbastanza danno per questa sera.
- Me ne vado,- rispose Tabaqui tranquillamente. - Si sente già Shere
Khan nelle macchie di sotto. Avrei potuto risparmiarmi l'ambasciata.
Papà Lupo si mise in ascolto, e giù nella valle sottostante, che
scendeva fino ad un fiumiciattolo, sentì il grido aspro, rabbioso,
minaccioso e cadenzato della tigre che si lamentava di non aver preso
niente, e non si preoccupava che tutta la jungla lo sapesse.
- Che sciocco! - disse Papà Lupo. - Cominciare una nottata di caccia
con questo chiasso! Crede forse che i nostri daini siano come le
grasse giovenche della Waingunga?
- Ssss! Non caccia né giovenche né daini stanotte, - disse Mamma Lupa.
- Caccia l'Uomo.
Il lamento si era trasformato in una specie di brontolìo vibrante che
sembrava giungere da ogni parte dell'orizzonte. Era la voce che
terrorizza i taglialegna e i vagabondi che dormono all'aperto, e li fa
correre a volte proprio nelle fauci della tigre.
- L'uomo! - disse Papà Lupo scoprendo tutti i suoi denti bianchi. -
Puh! Non ci sono abbastanza bacarozzi e ranocchi nelle pozze, perché
egli sia costretto a divorare l'uomo e nel nostro territorio per
giunta!
La Legge della Jungla, che non stabilisce niente se non c'è la sua
ragione, proibisce a tutti gli animali di mangiare l'uomo, a meno che
essi non l'uccidano per insegnare ai loro figli, e allora devono
cacciare fuori dal territorio del branco o della tribù. La vera
ragione di questo fatto è che all'uccisione dell'uomo segue, prima o
poi, l'arrivo degli uomini bianchi in groppa agli elefanti, armati di
fucile e accompagnati da centinaia di indigeni con gong, razzi e
torce. E allora tutti la scontano nella jungla. La spiegazione che gli
animali ne danno fra loro è che l'Uomo è il più debole e il meno
difeso di tutti gli esseri viventi, e che non è leale e degno di un
vero cacciatore attaccarlo. Dicono anche, ed è vero, che i mangiatori
di uomini diventano rognosi e perdono i denti.
Il brontolìo diventò più forte, e finì con l'"Aaarh!" a piena gola
della tigre che assale. Poi si sentì un urlo; un urlo di Shere Khan
che non aveva niente di feroce.
- Ha fallito il colpo, - disse Mamma Lupa. - Che cosa succede?
Papà Lupo corse qualche passo fuori, e sentì Shere Khan che brontolava
fra i denti rabbiosamente, mentre si rotolava in mezzo alla boscaglia.
- Quell'imbecille è stato tanto furbo da saltare dentro il fuoco
dell'accampamento di qualche taglialegna, e si è bruciato le zampe, -
disse Papà Lupo con un grugnito. - C'è Tabaqui con lui.
- Qualcuno viene su per la collina, - disse Mamma Lupa drizzando un
orecchio. - Sta in guardia.
Si sentì un leggero fruscìo nel folto dei cespugli, e Papà Lupo si
piegò sulle zampe posteriori pronto per slanciarsi. Allora, se foste
stati lì a guardare, avreste visto la cosa più straordinaria del
mondo: l'arrestarsi del lupo a metà del suo slancio. Esso aveva
spiccato il salto, prima di vedere su che cosa sarebbe arrivato, poi
aveva tentato di fermare lo slancio. E così successe che saltò dritto
in aria per tre o quattro piedi di altezza e ricadde quasi sul punto
di partenza.
- Un uomo, - ringhiò tra i denti. - Un cucciolo d'uomo! Guarda!
Proprio di fronte a lui, sostenendosi a un ramo basso, stava un
bambino bruno, tutto nudo, che sapeva appena muovere i primi passi;
una creaturina morbida e grassottella come mai nessun'altra era
capitata di notte in una tana di lupi. Alzò gli occhi, li fissò sul
muso del lupo e si mise a ridere.
- E questo è un cucciolo d'uomo? - chiese Mamma Lupa. - Non ne ho mai
visti. Portalo qui.
Un lupo, abituato a portare i suoi piccoli, può, se serve, prendere un
uovo in bocca senza romperlo, e benché le mascelle di Papà Lupo si
fossero strette sul dorso del piccino, nemmeno un dente ne aveva
graffiata la pelle, quando lo depose fra i lupacchiotti.
- Com'è piccolo! E com'è spelato e anche ardito! - disse Mamma Lupa
dolcemente.
Il bambino si faceva largo fra i cuccioli per avvicinarsi al pelo
caldo della Lupa.
- Ahi! Vuole mangiare la sua parte come gli altri. E questo è un
cucciolo d'uomo dunque? C'è mai stata una lupa che abbia potuto
vantarsi di avere un cucciolo d'uomo fra i suoi piccoli?
- Sì, ne ho sentito parlare qualche volta, ma, ai tempi miei, non è
mai successo nel nostro branco, - rispose Papà Lupo.
- Non ha nemmeno un pelo, e potrei ucciderlo solo a toccarlo con la
zampa. Ma vedi come ci guarda fisso senza paura.
Il chiaro di luna si spense sulla bocca della tana, poiché Shere Khan
infilò la grossa testa e le larghe spalle dentro l'apertura. Tabaqui
dietro a lui strillò con voce acuta.
- Mio signore, mio signore, è qui che è venuto.
- Shere Khan ci fa un grande onore, - disse Papà Lupo, ma fece gli
occhi feroci. - Che cosa vuole da noi Shere Khan?
- La mia preda. Un cucciolo d'uomo ha preso questa via. I suoi
genitori sono scappati. Dammelo.
Shere Khan era saltato nel fuoco di un taglialegna, come aveva detto
Papà Lupo, e il dolore alle zampe bruciate lo aveva reso furioso. Ma
Papà Lupo sapeva che la bocca della tana era troppo stretta, e che una
tigre non poteva passarci. Anche lì dov'era, Shere Khan aveva le
spalle e zampe anteriori strette nella piccola apertura, e era
nell'impossibilità di combattere, come un uomo che fosse dentro un
barile.
- I lupi sono un popolo libero, - disse Papà Lupo. - Essi ricevono gli
ordini dal capo del branco e non da un qualsiasi ammazzabuoi tigrato.
Il cucciolo d'uomo è nostro e siamo padroni di ammazzarlo se vogliamo.
- Che volere o non volere. Che discorsi sono questi! Per il toro che
ho ammazzato, devo forse ficcare il naso nella vostra tana da cani per
avere quello che giustamente mi spetta? Sono io, Shere Khan, che
parlo!
Il ruggito della tigre fece rintronare tutta la caverna. Mamma Lupa si
scrollò i cuccioli di dosso, e balzò in avanti, e i suoi occhi, simili
a due lune verdi nel buio, fissarono quelli fiammeggianti di Shere
Khan.
- E io sono Raska (la diavola), che ti risponde. Questo piccolo uomo è
mio, Lugri, proprio mio. E non sarà ammazzato. Vivrà per correre a
cacciare con il branco, e alla fine, guardatene, cacciatore di
cuccioli spelati, mangiaranocchi e ammazzapesci, perché darà la caccia
anche a te! E adesso vattene, per il cervo che ho ammazzato (io non
mangio le bestie morte di fame), tornatene da tua madre, bestia
bruciata della jungla, più zoppo di quando mai venisti al mondo. Va!
Papà Lupo guardava stupito. Aveva quasi dimenticato i giorni in cui si
era conquistato Mamma Lupa in un leale combattimento con altri cinque
lupi, quando essa correva con il branco e non era chiamata la Diavola
per complimento. Shere Khan avrebbe potuto affrontare Papà Lupo, ma
non avrebbe potuto tener testa a Mamma Lupa, perché sapeva che nella
sua posizione lei aveva tutto il vantaggio del terreno e si sarebbe
battuta a morte. Così si ritirò dalla bocca della tana brontolando e
quando fu fuori gridò:
- Tutti i cani abbaiano da lontano. Vedremo che cosa ne dirà il branco
di questo allevamento di cuccioli d'uomo. Il cucciolo è mio, e dovrà
finire sotto i miei denti, o ladri dalla coda a spazzola!
Mamma Lupa si gettò a terra ansimando fra i cuccioli e Papà Lupo le
disse in tono serio:
- In quanto a questo, Shere Khan purtroppo ha ragione. Il cucciolo
deve essere mostrato al branco; sei sempre decisa a tenerlo, mamma?
- Tenerlo! E' arrivato nudo, di notte, solo e affamato, eppure non ha
avuto paura. Guarda, ha già spinto da parte uno dei miei piccoli. E
quel macellaio zoppo avrebbe voluto ammazzarlo, poi sarebbe scappato
alla Waingunga, mentre i contadini dei dintorni avrebbero fatto una
battuta sui nostri covili per vendicarsi. Se lo tengo? Certo che lo
voglio tenere. Sta a cuccia, piccolo ranocchio, o Mowgli, poiché
Mowgli, il Ranocchio, ti voglio chiamare. Verrà il giorno in cui tu
caccerai Shere Khan come lui ha cacciato te.
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